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Sfogliando La Città dei Militari, tra riflessione
ed approfondimento
a cura di Giovanni Lo
Presti e Massimo Tricamo
Un saggio del prof. Francesco Ruvolo, apparso nel 2014 ed
intitolato La Città dei Militari - Dalla
difesa alla salvaguardia del territorio in una piazzaforte siciliana del
Settecento - Milazzo tra assedi e alluvioni nella cartografia dell’epoca [1],
offre alcuni spunti di riflessione ed approfondimento. A partire dalla città
dei militari, per l’appunto, che nel 1713, alla vigilia della dominazione
sabauda dell’Isola, annoverava al suo interno il reggimento Cordova, dislocato nella cittadella
fortificata, in cui figurava quale castellano un Piccolomini «di natione
Napolitana», designato dalle autorità governative nel marzo 1713, ed ancora otto
compagnie di fanteria siciliana, quattro di pertinenza del reggimento Messina ed altrettante del reggimento Palermo, tutte ed otto destinate al
presidio delle restanti porzioni di città che si snodavano al di fuori della
stessa cittadella fortificata. A completare la guarnigione, un distaccamento di
dragoni, ossia 60 unità di cavalleria.
E’ quanto emerge da una relazione - individuata dal Ruvolo
presso l’Archivio di Stato di Torino - compilata da un capitano di Taormina
nell’agosto 1713, col preciso scopo di descrivere ogni singola piazzaforte,
oltre alla forza militare presente in Sicilia alla vigilia del passaggio della
stessa ai Savoia. Colpisce, in particolare, il riferimento ai «militari
invalidi» destinati a presidiare il forte di S. Elmo, per i quali il Ruvolo
rimanda opportunamente ed avvedutamente agli Invalides di parigina memoria, rilevando «uno status del soldato
tutto nuovo e moderno», frutto di un «mutamento culturale e sociale».
Il forte di S. Elmo emerge in tutta evidenza nella cartografia
coeva riprodotta dall’autore tra le pagine del suo saggio, in particolare in
quella relativa all’Assedio di Milazzo del 1718/19 citata da Raimund Gerba agli
sgoccioli dell’Ottocento, ossia la pianta del combattimento di Milazzo del 15
ottobre 1718 e la dettagliata veduta prospettica, entrambe ignorate, tiene a
precisare il Ruvolo, da Liliane Dufour.
Ed è proprio tale cartografia che indica, nella sua versione
originale redatta dall’ingegnere militare Gabriele Montani e sviscerata dagli
autori del presente contributo, esattamente col tratteggio ed il numero 32,
tutti gli isolati del centro urbano rasi al suolo dagli austro-piemontesi per «far
campagna rasa», ossia per avere un’ottima visuale allo scopo di prevenire gli
attacchi delle assedianti truppe spagnole. Interi quartieri andarono giù su disposizione
dello spietato generale imperiale conte George Olivier Wallis (1671-1743):
tutto l'isolato tra ‘u Casàli e ‘u Casalèddu, ossia tra le odierne vie
Riccardo D’Amico e Matteo Nardi, oltre al fronte centrale della Marina
Garibaldi ed a quello settentrionale della via Umberto I da piazza Roma sino “agli
Argentieri”. «Maledetto era il Wallis, autore di tanto guasto: bramavano i
nostri abitanti che una palla nemica lo colpisse “in centro alla fronte”», così
il barone Giuseppe Piaggia nella sua ben nota ricostruzione della storia
milazzese.
Il 6 ottobre 1718, durante la costruzione di alcune trincee
dirimpetto Porta Messina (incrocio vie Regis e del Sole) e Porta Palermo (incrocio
vie XX Settembre e Cosenz), lo stesso Wallis si rese protagonista d’un
avvenimento che lasciò sbigottiti i milazzesi: alle rimostranze d’un soldato
che pretendeva la retribuzione degli straordinari per le fatiche scaturenti
dalle imponenti opere di scavo in corso, rispose senza esitazione e con
spietata freddezza sguainando la spada ed infilzandola nel petto del
malcapitato. Nessuno fiatò: lo scavo delle trincee proseguì come se nulla
fosse, provvedendosi in seguito al seppellimento del soldato ribelle tra le
sabbie di scavo.
Particolarmente interessanti gli spunti offerti dal Ruvolo a
proposito delle ricorrenti alluvioni che arrecavano non pochi danni alla Piana
di Milazzo. Le ricerche d’archivio condotte da chi scrive, per restare in tema
di Assedio, attestano che il problema degli allagamenti a Milazzo ha origini
remote. Nel 1718 le truppe spagnole accampate nella Piana (soprattutto in
contrada Barone) lamentavano l’allagamento di tende e baracche provocato dalle
piogge copiose d’inizio novembre. Ma c’è di più. Nel 1756 i lavoratori della
terra “giornalieri” lamentavano a loro volta l'impossibilità di raggiungere i
vigneti della Piana a causa delle strade allagate, mentre al Capo gli
amministratori locali avevano appena fatto sistemare una strada per raggiungere
una villa in cui svagarsi con amici e parenti. Oggi il problema si dice che sia
aumentato per via della cementificazione e dei teli impiegati dai vivaisti. Un
dato è certo: in questi ultimi decenni,
poco è stato fatto per arginare l'antica “fiumarella” che, passando per S.
Pietro, inonda soprattutto le contrade successive a Barone, ossia S. Paolino e
la vicina Ciantro, prima di sboccare in via Migliavacca, al “ponte” di
garibaldina memoria. Da parte sua il Ruvolo, citando il Rossitto, non manca di
ricordare l’alluvione che nel novembre 1757 mise in ginocchio la Piana di
Milazzo e la vicina Barcellona Pozzo di Gotto. Per porvi rimedio - scrive lo
stesso Ruvolo - l’ingegnere militare
suggerì, tra l’altro, il rimboschimento di alcuni terreni. Di lì a poco
sarebbero stati gli alberi di pioppo a tentare di contenere eventuali
straripamenti.
Ma torniamo ai citati allagamenti del 1756. A darci notizie è
un esposto - custodito nel fondo “Atti dei Giurati” dell’Archivio Storico
comunale di Palazzo D'Amico[2]
- presentato da un folto gruppo di contadini milazzesi retribuiti giornalmente
per il lavoro prestato nei fondi agricoli della Piana di proprietà
dell’aristocrazia cittadina.
A causa delle piogge continue e copiose dell’inverno, che
provocavano frequenti allagamenti nelle strade della Piana, i suddetti
contadini, impossibilitati a raggiungere i luoghi di lavoro, perdevano spesso
la paga giornaliera, magro introito che, comunque, consentiva loro di
fronteggiare le spese del «vitto coditiano per alimentare la propria povera
vita e famiglia». Nonostante i reiterati solleciti rivolti dai contadini ai giurati
(gli amministratori comunali) e malgrado un finanziamento di 12 onze erogato
dal Comune affinché si provvedesse ad «accomodare le strade deguastate ed
allagate», non ci fu alcun tipo di intervento. Non solo. Così si legge,
infatti, nel suddetto esposto presentato nel 1756 per sollecitare la
manutenzione delle pubbliche strade della Piana: «li Giurati sino adesso non
han voluto farle accomodare, anzi di dette onze 12 giorni addietro diedero onze
3 a Don Francesco Maria D’Amico, per esser cavaliere e parente de’ medesimi,
per accomodarsi una inutile strada nel Capo di questa Città, non per altra
causa che per esser solamente commoda detta strada al detto D’Amico per andare
al di lui casino (villa, ndr) dove una volta l’anno nell’estate si portano tra
loro parenti a villeggiatura. Similmente sudetti Giurati col detto denaro di
onze 12 stanno pagando le comedie, che per loro divertimento si fanno, senza
guardare che dette comedie hanno stato e sono causa di tanti peccati, come
tutto ben sa questo Capitano di Giustizia».
Interessante,
infine, il saggio del prof. Ruvolo - esposto
nella relazione da questi tenuta ad un convegno internazionale AISU presso l’Università
di Catania nel 2013 - giacché in esso si pubblicavano - pertinenti
al tema - documenti inediti e cartografia, con un focus sulla statua del “genio
di Milazzo”, che fino a quel momento si conosceva solo per descrizioni
letterarie e storiche, ma non già visive. Tale raccolto materiale, frutto dei
rilievi compiuti in loco dai militari asburgici nel periodo dell'assedio alla
piazzaforte di Milazzo del 1718, è mostrato e spiegato nel saggio citato ed
assurge a rilevanza nella storia cartografica della Sicilia.
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[1] Il contributo, di cui gli scriventi sono venuti a conoscenza nel 2022, è apparso in VisibileInvisibile: percepire la città tra descrizioni e omissioni - VI Congresso AISU; Catania, 12-14 settembre 2013, a cura di S. Adorno, G. Cristina, A. Rotondo, Scrimm Edizioni 2014 (ebook), pagg. 2114-2131.
[2] Cfr. Libro degli Atti dei Giurati, anno 1755/56, vol. AM2n°.22, f. 463.
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